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Il Paolone del lunedì

Divagazioni periodiche prive di costrutto

Nell'aprile di quest'anno sono stato a Parigi, in visita alla nostra sede distaccata e alla fondazione Lizieres. Avevo il privilegio di essere ospite della nostra socia nel Marais, quartiere davvero splendido. Abbiamo passeggiato molto e portato la Luisa alla scoperta della città. Ben indicati, abbiamo visitato anche il piccolo e splendido Marché des enfants rouges. E siamo stati (a lungo) nel negozio di Fabien Breuvart, collezionista e commerciante di foto trovate. Il risultato è questo piccolo divertissement rodariano, che spero giudicherete con indulgenza.

Al mercato dei Bambini Rossi,
tra pesci strani e frutti grossi,
vende Fabien le foto trovate:
a un Euro l'una le ho comperate.

Una famiglia intera ti puoi inventare:
la zia Clotilde che svernava al mare,
il bisnonno Tobia con la Topolino
e una lontana cugina amante del vino...

In un tempo remoto, non si sa dove,
qualcuno ha scattato milioni di pose.
Fabien le ha trovate, raccolte e ordinate,
una per una tagliate e imbustate.
Le vende a chi cerca ricordi fasulli,
che non servon di certo a ingannare i citrulli,
ma son prove provate di storie inventate.

Il recente compleanno palindromico di un vecchio amico (e non di un amico vecchio) mi ha fatto ricordare un gioco che facevamo in studio qualche tempo fa. Era semplice e divertente e consisteva nello scoprire le personalità nascoste in ognuno di noi, anagrammando il nome.

C'era, per esempio, Olemano il Pazzo, condottiero minore longobardo figlio di Mazimane Il Rozzo e Fecistima L'Amata.

C'era poi Ozo "La Mina" Lopez, pirotecnico torero ispano-boemo, noto anche per il suo considerevole attributo virile, detto "lo pilone" o "mazza". Un di lui parente, dopo un viaggio a Casablanca, si era trovato nell'imbarazzante stato di Zia Manolo Lopez.

E come dimenticare Noe "Zazà" Pomillo, investigatore ebreo-ragusano dalla strana camminata a gambe aperte, o Zollo "pane azimo", panificatore kosher beneventano?

E poi Ale "Il Manzo" Pozo, noto tamarro valenciano, Emillo "ano pazzo", tizio ispanico dalle evidenti inclinazioni, Pina "malo olezzo", prostituta di bassa lega poco avezza all'igiene personale, Ezio "molla" Ponza, saltatore olimpionico di Anagni, "Animale" Lo Pozzo, incitatore degli Ultrà palermitani dai modi un po' rudi, Apollo "mai nozze", playboy greco di grande bellezza e scarsa serietà e Leo "pinolo" Mazza, indegno parente del compagno e maestro di questi giochi nei tempi che furono.

Si potrebbe dire che non avevamo molto da fare, o forse avevamo più energie. In ogni caso ci si divertiva parecchio

Il fesso con la fissa punta dritto alla fossa. Il telaio blu cobalto, congegnato per la pista, sfreccia rapido sull'asfalto: è un piacere per la vista! Il copertone tubolare sul selciato fa imprecare col sellino d'altri tempi che pregiudica accoppiamenti.

Il cardigano svolazzante su maglietta aderente: abbinamenti di colore da daltonico impenitente.L'occhio pesto e un po' fumoso da fruitore abituale di sostanze e di pietanze dalle dubbie conseguenze scruta da dietro agli occhiali blu, con le lenti un po' fumè, da cantante tardo-punk, a suoi tempi demodè.

Il mozzo fisso con catena concatena i movimenti, quelli rapidi e quelli lenti. Perché mai sprecare gomma e preziosa aerodinamica per ospitar rozze ganasce che mi arrestino la cinetica? Per frenare, che ci vuole, basta smetter di pedalare. Disse il fesso con la fissa prima di capitolare...

Guarda, mamma, senza freni; guarda, mamma, senza mani; guarda, mamma, senza denti!

Ma voi ve le ricordate le feste delle medie? Che sofferenza terribile. Io ricordo una festa di carnevale in prima media: la palestra condominiale di un'edificio borghese di via Previati, tutti in piedi lungo il muro, la patatine stantie, la fanta appiccicaticcia. Io mi ero travestito da Ronald Reagan (ma senza Keanu Reeves sotto): in pratica, ero vestito da cowboy ma con la maschera da presidente; mi ero perfino messo dei missili nel taschino in un goffo tentativo di satira politica. OK, ero uno sfigato.

Pochi anni dopo, sopravvissuto al periodo paninaro, mi venne una insana passione per West Side Story: ma ve la ricordate America? Ero talmente fissato che per un po' di tempo mi presentavo alle serate più importanti solo con gilet nero e camicia viola come Bernardo. Ok, ero uno sfigato.

Poi venne il periodo da figlio dei fiori, con la salopette a righine, i capelli un po' lunghi, le collanine e la magliette batik. Ok, ero uno sfigato.

Il fatto è che per me, l'America, era il mito. Non un mito, IL mito.

Non saprei dirvi se la causa fosse il mio zio scienziato, che in America si era trasferito per poter fare il suo lavoro. Lui tornava sempre con dei regali incredibili: caschi da astronauti, spade laser, magliette degli incontri ravvicinati. Siamo anche andati a trovarlo un po' di volte; la prima, nel 1982, a San Diego, chi se la dimentica? Era tutto così grande: le macchine, le autostrade, i centri commerciali, i gelati. C'erano le felpe colorate da Sears, che qui ancora ci mettevamo le tute blu della Adidas con le righe bianche sulle maniche. E i surfisti e le spider e Disneyland e San Francisco.

O forse è stata la televisione. I fratelli Duke (che poi erano due fasci sudisti, ma son cose che ho capito tempo dopo), Simon & Simon (che era ambientato a San Diego), la famiglia Bradford (che piaceva alla mia mamma), i CHiPs, l'A-Team (adoro i piani ben riusciti), Magnum P.I. (e l'indimenticabile Higgins, che assomigliava un po' a mio nonno). Va bene, ok, lo confesso, guardavo anche Supercar. A proposito: ma quanto erano belle le sigle dei telefilm?

O forse è stato il cinema. O la musica. O i libri.

Qualcuno potrebbe pensare che siamo una generazione plagiata dall'Impero.

Ma noi l'Impero lo combattevamo, con le spade laser regalate dagli zii, molto prima di diventare antimperialisti. E poi, anche quando facevamo i collettivi sui prati dell'Omni, più che comunisti eravamo Jedi. Non son bastati cinque anni di manifestazioni e sei mesi di iscrizione alla FGCI (non è colpa mia se poi è caduto il muro) per smettere di essere americanofili: anche dell'essere antagonisti ci piaceva di più il lato hippie di quello sessantottino.

Non credo ci siano contraddizioni in tutto questo. Perché non stiamo parlando degli U.S.A. come stato, come nazione, come tutt'uno. Ma di una certa parte di quel paese che è stata un riferimento fondamentale per l'occidente del secolo scorso. Il paese delle opportunità e della meritocrazia, del coraggio e delle scoperte scientifiche, della libertà e dei diritti, del melting-pot e della democrazia. Il paese di Whitman e di Thoreau, di Martin Luther King e di Kennedy (almeno quello che immaginavamo noi). Il paese del cinema indipendente che convive con Hollywood, di Doonesbury e dei Peanuts, dei campeggi selvaggi e delle toffolette, di Manhattan e della route 66. Il Paese della beat generation e del jazz, del rock e del blues. Il Paese di Bruce Springsteen. Quella parte di Stati Uniti che, in confidenza, ho sempre chiamato America.

Non è tutta così, l'America, lo so. La spaccatura netta delle ultime elezione l'ha mostrato chiaramente.

Per questo ho seguito con tanta apprensione il voto negli States. Perché, anche se non ho mai avuto né la voglia né il coraggio (forse nemmeno il desiderio) di andare a stare tanto lontano, comunque penso che almeno un pezzo di America appartenga anche a noi. A noi che ci abbiamo creduto e che l'abbiamo amata.

Per questo sono così contento cha abbia vinto Obama: perché lui è quell'America lì, quella che ci serve per sognare.

Four more years, four more years, four more years, four more years!

Un iMac G3 Bondi Blue del 1998 è in grado di leggere (e di scrivere) senza alcuna difficoltà una chiavetta usb da 8Gb comprata al supermercato. Incredibile, no?

Un iMac G3 Bondi Blue del 1998 è anche in grado di demolire ogni tua certezza e gettarti nello sconforto, semplicemente permettendoti di rivedere improvvisamente fotografie digitali scattate dieci anni fa e dimenticate sul suo inopportunamente duraturo hard disk da 4Gb. Immagini che dovrebbero appartenere al tuo presente (c'è già la fidanzata che diventerà tua moglie, c'è già la "nuova" casa, i vestiti sono grosso modo gli stessi di ora) e invece ritraggono un te stesso svergognatamente più giovane, si direbbe quasi con dieci anni in meno.

Di bilanci esistenziali, su questo blog, ne abbiamo fatti pure troppi; questa volta vorrei soffermarmi, però, su un dettaglio specifico. Come già ho avuto modo di raccontarvi, in una delle mie molte esistenze parallele sono una sorta di scienziato precario (o gentleman scientist, come mi definirei se fossi definitivamente privo di pudore e un po' più dotato economicamente). Mi occupo, come ricercatore, di studiare le forme del progetto nella città contemporanea, con particolare attenzione alla residenza e ai modi di usare lo spazio nella quotidianità delle persone (si è capito qualcosa?).

Non facendo riferimento ad alcuna istituzione specifica (e non percependo uno stipendio per fare ricerca), la mia ricerca tende a subire brusche accelerazioni e altrettanto repentine frenate a seconda dei casi della vita. Ultimamente la mia attività scientifica ha avuto un periodo particolarmente intensivo, dovuto all'opportunità di partecipare ad alcuni convegni e ad alcune pubblicazioni con dei miei interventi. I curatori di questi lavori hanno deciso, stupendomi molto, di dare spazio ad alcuni miei ragionamenti; volevate che non ne approfittassi? Perché, come i pazienti lettori di questo blog ben sanno, il Paolone è in grado di produrre più teorie di un giornalista di Libero sotto pseudonimo. Speriamo anche più credibili, ma questo è un altro problema.

Mi è capitato, allora, di chiedermi a che punto io sia della mia supposta traiettoria creativa. Alla soglia dei quarant'anni, per quanto ancora mi verranno idee su cui indagare, teorie da verificare, storie da raccontarvi? Scoprirò mai qualcosa di utile? O forse l'ho già scoperto? O forse il mio momento è già passato e io non ho scoperto proprio nulla? O forse la risposta è dentro di me (e, però, è sbagliata)?

Secondo Robert Root-Bernstein, la distribuzione per età della probabilità di fare scoperte varia a seconda delle specifiche discipline: la probabilità ha il suo picco intorno ai 25 anni per i matematici, ai 30 per i fisici, ai 35 per i chimici e ai 40 per i biologi. Gli architetti? Non pervenuti. Insomma, probabilmente sono già troppo vecchio e mi aspetta un futuro di laboriosa rielaborazione delle modeste scoperte di questa mia gioventù poco fruttuosa ormai alle spalle.

Manu Chao @ Solidays

Allora mi è venuto in mente un ragionamento che avevo fatto in passato su acuni dischi che amo molto.

Per esempio, alla fine degli anni Novanta ho avuto una passione ai limiti dell'ossessione per il primo album solista di Manu Chao. So bene che si trattò di una infatuazione collettiva, ma vi garantisco che la mia fu passione profonda, al punto che pur non ascoltandolo da molto tempo, canto ancora alcune di quelle tracce ai miei ignari figli. Orbene, Manu scrisse, compose e registrò quell'album a 37 anni (non so cosa ne pensi Root-Bernstein, ma a me per un musicista pop mi sembrano tantini) dopo dieci intensissimi anni di Mano Negra, dopo aver attraversato il Sud America con un treno delle meraviglie, dopo aver sostanzialmente fondato un genere musicale.

Un altro album che ho amato tantissimo, quasi un decennio prima, era l'Unplugged realizzato da Eric Clapton per MTV. In questo caso, la Mano Lenta (di cui mi vanto di possedere - legalmente - l'intera discografia) aveva addirittura quasi cinquant'anni e di vite ne aveva già vissute parecchie. C'erano stati gli Yardbirds e Bluesbreakers, poi i Cream, il Blind Faith e poi i Derek and the Dominos e la carriera solista. Circa trent'anni sui palchi e nelle sale incisione, senza risparmiarsi nulla degli annessi e connessi tra dipendenze, disgrazie e eccessi vari.

E cosa dire degli American Recordings incisi dal sessantenne Johnny Cash, sotto l'illuminante guida del sempre geniale Rick Rubin? Un album che ti strappa il cuore dal petto come neanche l'invasato del Tempio Maledetto.

E potrei aggiungere all'elenco molti altri dischi, quelli che mi piace chiamare "i dischi perfetti". Il Gershwin's World di Herbie Hancock (a proposito di passati variopinti), oppure le Songs for Drella di Lou Reed e John Cale del 1990 (e ci sarebbe anche il folle Lulu di Lou Reed con i Metallica, ma ve lo risparmio).Il Boss, che è il boss, ne fa uno ogni 10 anni (per me: Nebraska, 1982; The Ghost of Tom Joad, 1995; We Shall Overcome: The Seeger Sessions, 2005). In alcuni, rari, casi il disco perfetto è un greatest hits, magari con qualche nuova incisione, qualche inedito incredibile: pensiamo al James Taylor che abbandona la Warner, oppure al Tom Waits che riassume i suoi primi dieci anni alla Asylum, o alla raccolta di Vinicio Capossela (che contiene, tra l'altro, l'imperdibile cover di Si è spento il sole, che cantare Celentano è mica facile...). In certi casi, addirittura, il disco perfetto te lo fa un altro, come nel caso dell'omaggio degli Avion Travel a un divertito Paolo Conte.

La domanda, però, è: cosa accomuna questi lavori? Difficile dirlo. Alcuni sono la conclusione di una carriera, alcuni un punto di svolta, alcuni l'inizio di un lento e (più o meno) dignitoso declino. Alcuni sono il frutto di un lavoro individuale, altri l'esito di un incontro illuminante. Alcuni sono un ritorno alle origini, altri l'ennesimo lancio in avanti.

Io penso che li accomuni la serenità, la sicurezza priva di auto-compiacimento. E poi la maturità, la sobrietà (se capite cosa intendo), l'efficacia. Uno stato di grazia che permette di comunicare i massimo dei contenuti con il minimo dello sforzo.

Per fare il disco perfetto, non basta una buona idea. Non servono necessariamente le migliori canzoni. Oltre a tanto talento e tanto lavoro, serve aver accumulato esperienza, memoria, idee, errori, disgrazie, successi, amicizie. Insomma, occorre aver vissuto.

In attesa, quindi, del post perfetto, continuerei a vivere, e a scrivervi, se mi sopporterete.

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Paolo Mazzoleni
Married architect father of two. Partner of BEMaa and URBANA, adjunct professor at PoliMI and enthusiast of urbanity. Addicted to social networking, blogger.

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